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"SIAMO RECLUSI, OSTAGGI IN BARRIERA", IL GRIDO DI UN RESIDENTE

Aggiornamento: 2 nov 2023

"Scrivo questa mia per esprimere finalmente la sconfitta. La disfatta. Il profondo senso di smarrimento e di abbandono che provo da mesi a essere abitante di corso Giulio Cesare. Siamo reclusi. Siamo ostaggi”. Un cittadino di Barriera invia una lettera al giornale la Repubblica in cui sfoga il proprio sconforto di fronte al degrado che sta investendo il quartiere con sempre maggiore forza d’urto. La sua è una fotografia efficace di quello che i residenti sono costretti a vedere e sopportare, tutti i giorni a tutte le ore, in ogni angolo della zona. Potente la zoomata sul triangolo del crack: in corso Giulio Cesare 167 c’è un palazzo dello spaccio dove i tossici sono in coda con i soldi in mano, in via Sandigliano i drogati si fanno di crack davanti agli occhi di chi passa (donne che fanno la spesa, bambini usciti da scuola, anziani), a ogni ora. Non va meglio in via Sempione e via Lauro Rossi, prese d’assalto dai frequentatori dei bangla market (almeno sette) che, strapieni di birra non si fanno scrupolo di svuotare la propria vescica contro i cassonetti, per la gioia di chi in estate è costretto a vivere con le finestre chiuse per non sentire il fetore. Il cittadino fa notare con sconcerto che la propria figlia di sei anni ha già visto gli organi genitali di persone, appartenenti ad almeno dieci nazionalità, che orinano a cielo aperto senza alcun pudore. Tra corso Vercelli, via Martorelli e corso Palermo lo spettacolo si compone di scene poco edificanti: nordafricani che bighellonano al bar dei brasiliani, rom che rovistano nei bidoni della spazzatura buttando tutto all’aria, ubriachi che abbandonano bottiglie vuote sui marciapiedi. “Questa, signori, è integrazione? – aggiunge il cittadino di Barriera -. E’ segregazione. Mi piacerebbe dire che questa è anarchia, ma così non è. Perché questo è un quartiere ormai in mano alla mafia. È un quartiere che basa la sua economia sul commercio all’ingrosso e al dettaglio delle droghe pesanti. Ed è sotto gli occhi di tutti”. La lettera si conclude poi con la constatazione che o non si può più fare niente e quindi lo stato ha fallito oppure non si vuole far niente perché si è conniventi: "la questura, la politica, qualcuno trae giovamento (evidentemente economico, pecunia non olet), da questo mercato della droga a cielo aperto".





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